Lo struscio di Via dei Croci

29/11/2024 | La memoria

Memorie di un’adolescente a Sacrofano

di A.I.

C’è un’enorme croce di ferro, su per Via per Campagnano, la provinciale che si inerpica in una bella salita fiancheggiata da magnifici e frondosi alberi di alto fusto, forse tigli e faggi. L’imponente croce è come appartata, quasi a non volersi mostrare, ma apre a destra verso una stradina, una scorciatoia buia e misteriosa, che a noi ragazzette, oggi diremo teens, metteva un po’ paura, ma solleticava altresì quel vago senso di avventura e di scoperta e ci spingeva a scomparire alla vista della strada maestra. Una specie di nascondiglio, ma soprattutto la voglia matta di trasgredire alle regole ferree che volevano che le femmine fossero sempre alla vista dei parenti, che perderle di vista sarebbe stato come abbandonarle alla perdizione.
A me proprio non andava giù e che discussioni con le mie zie. Si andava in gita a Sacrofano per le Feste come Pasqua, Ognissanti, San Biagio o per matrimoni, comunioni, battesimi o ancora per le vacanze estive. Partivamo da Roma tutti in ghingheri e pieni di bagagli a bordo di una 600 grigiolina, auto del boom economico dei Cinquanta, con la gioia negli occhi, soprattutto di mia madre che poteva riabbracciare la sua famiglia di origine. Tanta gente da salutare, da baciare (e a me non piaceva molto) e soprattutto immergersi nella vita del paesino che pian piano progrediva e si modernizzava. Anche se sembrava succedesse molto lentamente. Persisteva una mentalità chiusa, legata a regole patriarcali che non lasciavano spazio all’emancipazione delle donne, figuriamoci delle ragazze della mia età. A parte andare dalle suore a ricamare, o a far la spesa, o al cimitero con la mamma, o a pranzo di qua e di là pochi erano gli svaghi in quell’età di mezzo meravigliosa e difficile in cui la voglia di fare, vedere, scoprire e trasgredire era ribollente. Mi univo alle cugine e alle loro amichette per fare gruppo e inventare come poterci divertire al di fuori delle mura di casa e delle regole del “così non si usa” e quindi “si fa così” che se no la gente chissà che dice? Ovviamente niente maschi, per l’amor di Dio. Allora, facevamo lo struscio. Su e giù e poi giù e su per Via dei Croci. Ma attenzione: non potevamo superare la curva prima del fontanile perché si sentiva subito il fischio dei padri che ti richiamavamo all’ordine.
Tutti guardavano, tutti spiavano come se dovesse accadere l’irreparabile.
I ragazzetti seguivano a distanza facendo commenti più o meno palesi, ma almeno si rideva e si rispondeva con qualche sfottò. Su e giù. Per pomeriggi interi magari con soste sul muretto a raccontare segreti e le prime scoperte della vita. Quando si riusciva a svoltare dalla curva fino alla grande Croce sembrava di sentire la libertà nelle vene. La piccola e buia scorciatoia ci accoglieva e per pochi attimi gridavamo a squarciagola correndo e nascondendoci perché i maschi non ci scoprissero. Sono certa che molti amori siano nati in quei cinquecento metri di struscio, che erano la nostra “prova di forza” per tentare di rompere le regole. Oggi su Via dei Croci sfrecciano a velocità inaudite automobili e la strada dello struscio è rumorosa, pericolosa, trascurata e sicuramente alla grande croce non si dedica neanche uno sguardo. I tempi e i luoghi della trasgressione sono cambiati.

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