Nei pascoli dell’Università degli Allevatori di bestiame si produce carne che avrebbe bisogno del marchio di qualità
“Il territorio seleziona la razza” dice Enrico Granori, titolare, con le figlie, dell’Azienda Agricola Fontanella della Ciota. Ciota in dialetto significa ciotola, e prende il nome da una specie di recipiente naturale che si è formato in un basamento di roccia, da cui si abbeverano gli animali al pascolo. Per altro, sempre per rimanere in tema, ciota è anche il “culetto” di un pane, la cui mollica veniva intrisa di latte di una fattrice per diventare una piccola colazione. La razza di cui parlano i Granori è la maremmana, i cui capi vengono allevati in conformità ai disciplinari stabilititi dalle politiche agricole comunitarie, compresa la specifica “classy form”, vale a dire attenzione e cura dell’alimentazione, la corretta somministrazione di integratori vitaminici e minerali, e il controllo del peso, soprattutto nel periodo dell’ingrasso dei vitelli. “Nella nostra azienda agricola”, -dice Lorena Granori – “alleviamo 30 capi, che producono vitelli da cui si ricava ottima carne, grazie all’allevamento estensivo, vale a dire il pascolo libero sugli ettari messi a disposizione, col criterio dell’usi civici, dall’Università degli Allevatori”. Nel territorio di Sacrofano si calcola ci siano 200 bovini e tra i 200 e i 300 equini. Se oltre all’allevamento, ci fosse la possibilità, o per meglio dire, la volontà organizzativa di dare vita a un consorzio per la produzione e un marchio di tutela e garanzia della carne di Sacrofano, – come avviene in numerose località italiane -, il territorio ne ricaverebbe un grande giovamento anche in termini di buona reputazione, con ricadute economiche che andrebbero a vantaggio di tutta la comunità.