Se al tempo necessario per capire che succede non concediamo che 8 secondi

04/08/2025 | n.6-2025

Il digitale sembra non avere tempo da perdere con l’informazione, il ragionamento, il dibattito, la formazione di un’opinione basata sui fatti

Quando tempo fa, nella rubrica Ex Libris, abbiamo parlato di “Il marketing dell’ignoranza “, saggio di Paolo Guenzi (Edizioni Egea 2025), abbiamo scoperto che nel 2020 il tempo medio di attenzione degli utenti sui social network era stato di 8 secondi. Vent’anni prima, nel 2000 i secondi erano 12. A tutt’oggi, l’attenzione di un lettore su un articolo on line si aggira sui 15 secondi. Queste tempistiche sono confermate da un autorevole filosofo francese,  Jacque  Attali,  che  le  cita  nel suo “Disinformati. Giornalismo e liberà nell’epoca dei social” (Ponte delle Grazie, 2022). D’altronde proprio Attali tenta una spiegazione a questo fenomeno. In “Conoscenza o barbarie” (Fazi Editore, 2025), scrive: “La trasmissione del sapere è stata recentemente sconvolta dalla dittatura del tutto e subito”. Raccontare i fatti perché diano origine alle opinioni è lo storico ruolo di un giornale. Anche del nostro, nel nostro piccolo. Il disclaimer che  abbiamo  proposto  fin  dal primo numero recita: “Un giornale di comunità, redatto e autoprodotto da volontari. È autofinanziato e sostenuto da donazioni liberali che provengono da singoli o da realtà imprenditoriali del territorio. Analizzare i cambiamenti, dare voce alle qualità espresse dai singoli e da realtà radicate nel territorio, promuovere la cittadinanza attiva e la coesione sociale è la linea editoriale di La Nuova Sacrofano”. Tuttavia, può succedere che in qualcuno la fretta di dare giudizi produca strani fenomeni, tra cui spicca la mancata comprensione del significato di un testo. Viviamo tempi strani. La  polemica  fine  a  sé  stessa  è  più attraente del ragionamento, l’ansia di protagonismo più impegnativa della ricerca della verità oggettiva, la propaganda è la scorciatoia preferita dall’apparenza. Sui social si scrive per comunicare di sé stessi alla tribù dei rispettivi followers. Anche la  politica  –  cioè  lo  spazio  pubblico  per  definizione  –  si è incamminata lungo la scorciatoia dell’autoreferenzialità, ha difficoltà a capire i cambiamenti, ha la pretesa di dettare quello che si deve pensare. Ma il mondo è più ricco di una condotta partitica studiata a tavolino e concepita per il potere, fosse anche locale. I cambiamenti sono il motivo per cui preferiamo parlare delle qualità del nostro territorio piuttosto che dei suoi difetti: questo approccio ci è sembrato fin dal primo  momento  il  metodo migliore per stimolare la consapevolezza delle potenzialità di chi vive e agisce nello spazio che condividiamo, perché quelle idee, quelle esperienze, quegli stessi risultati siano gli anticorpi che combattono ciò che non va o che dovrebbe andare meglio. Meglio tenere i piedi per terra, perché la propaganda può fare brutti scherzi. Edward Bernays (1891-1995) autore nel 1928 del libro “Propaganda” ha  scritto:  “La  propaganda  è  lo  sforzo  deliberato e continuo di modellare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere comportamenti per ottenere una risposta che favorisca l’intento desiderato dal propagandista”. Bernays, che tra l’altro era il nipote di Freud, ha così messo il dito nella piaga, stabilendo la misura della distanza tra un certo modo di intendere il proprio partito e l’agire più corretto in politica, ma anche la cifra stilistica che distingue nettamente la propaganda dall’informazione. Tanto per citare un esempio recente, a giugno il Comune ha onorato la prima rata del debito proveniente dal pasticciaccio brutto della RSA. È un fatto importante e interessante. Dal punto di vista politico dovrebbero essere tutti sollevati che il dissesto sia ormai alle spalle, perché è un bene per tutti, cittadini, attività economiche, forze sociali e forze politiche, tanto più che nella Giunta sono rappresentati diversi orientamenti politici, alcuni in teoria vicini anche ai suoi più acerrimi detrattori. Come diceva  Otto  von  Bismark: “La politica è l’arte del possibile”. Analogica o digitale, la verità dovrebbe sempre essere la possibile base di ogni ragionamento. Per i compiti che ci siamo prefissi, ci  siamo  chiesti  spesso  se fosse giunto il momento di abbandonare la carta e trasmigrare sul web. Ma i dati e gli atteggiamenti che qui abbiamo citato non hanno nulla di confortante. Fosse anche che La Nuova Sacrofano venisse sfogliata rapidamente, c’è sempre la possibilità di andare oltre quei maledetti otto secondi, per cui un titolo, un argomento, una notizia fermi il tempo e catturi alla lettura di qualcosa di interessante, che serva a capire in che paese viviamo, che sia quello con la p minuscola ma anche quello con p maiuscola. Come dice Ginevra in prima pagina di questo numero, qualche volta può succedere che  “il giornale sia più interessante del telefonino”.

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