La storia umana e professionale di Andrea Cillo è emblematica dell’importanza dell’artigianato nella vita sociale di una comunità
di Marco Ferri
“Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno della tua vita.” È una famosa quanto improbabile massima filosofica attribuita proditoriamente a Confucio. Ma forse ben si attaglierebbe ad Andrea Cillo, al secolo Alchimista Lactis.
Perché proprio come Zenone, – l’alchimista del celeberrimo romanzo “L’opera al nero” di Marguerite Yourcenar -, egli vede nel suo lavoro non solo la trasformazione della materia prima, il latte, ma anche la curiosità interiore tipica di chi osa sperimentare un nuovo modo di fare e pensare, osa scoprire nuove intuizioni e creare nuovi sapori. Zenone nella finzione letteraria, Andrea Cillo nella pratica artigianale sanno che il vero “oro” – quello che gli alchimisti chiamavano “la pietra filosofale” – non è un metallo, ma la conoscenza. Andrea ha fatto della conoscenza la sua strada maestra, la sua personale “Via Lattea” – potremmo dire, lasciandoci andare al trucchetto bonario del doppio senso – che gli ha indicato la rotta nel mare aperto della vita. La passione per il suo lavoro nasce con la passione amorosa per una ragazza che lo conduce da Sacrofano fin sui monti della Svizzera. È lì, che in un alpeggio, impara dai pastori come si lavora artigianalmente il latte per produrre il burro, e i formaggi tipici della transumanza estiva.

(Foto di Romeo Marcori)
La passione per questo approccio al mondo caseario è talmente genuino che va oltre la stessa storia d’amore con la fanciulla svizzera. La voglia di imparare allora lo porta in Austria, dove si cimenta con la lavorazione di altri tipi di formaggi. E poi in Germania. È allora che le esperienze fatte gli fanno nascere il desiderio della conoscenza e quindi, passando dalla pratica alla teoria, frequenterà una scuola, e prenderà un titolo di studio, col quale venire assunto in un’azienda casearia. E di nuovo un salto, di qualità, di nuovo una scelta di vita, una scelta umana e professionale. Come avrebbe detto l’alchimista Zenone “Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza”: infatti, proprio per l’esattezza, prende la decisione che sarà determinante per il suo futuro professionale, cioè uscire dall’industria e scegliere l’artigianato, la sua personale “Via Lattea”. Ed eccolo finalmente a Sacrofano, la terra da dove partì la sua avventura, sulla via Sacrofanese a fare formaggi e a proporli ai suoi clienti, numerosi, ma soprattutto curiosi e affezionati all’idea che il formaggio sia tornato a essere una prelibatezza creata dalla sapienza di un talento caseario. Attualmente, ogni anno sono parecchie centinaia i litri di latte di mucca, di pecora e di capra che passano per le sue mani. “Sarebbe bello lavorare la materia prima prodotta a Sacrofano, ma attualmente non è possibile, non se ne produce a sufficienza. Tuttavia – dice -, la materia prima viene comunque da questo territorio”. L’Alchimista Lactis sembra non aver perso la voglia di lavorare sodo, di provare, sperimentare, creare nuovi formaggi, nuovi sapori. Ha solo un’espressione triste, quando dice “Mi piacerebbe trasmettere quello che ho imparato a fare a un giovane desideroso di sapere come si fa il buon formaggio, ma – conclude -da queste parti anche questa materia prima sembrerebbe scarseggiare”. Pare sia il destino degli artigiani italiani, soprattutto di quelli più bravi, sia faticare a trovare ragazze o ragazzi che abbiano la voglia, la determinazione e l’obiettivo nella di imparare un mestiere, invece che il semplice desiderio di trovare un impiego.

