Quell’insistente rumore di fondo che è diventata la voce altrui nei luoghi pubblici

È la voce roboante dei clienti, dei passeggeri, dei pendolari, dei pazienti in sala d’attesa, del cassiere del supermercato, di chiunque abbia un telefono in mano e sempre meno pudore nel distinguere tra pubblico e privato. C’è sempre qualcuno che deve raccontare tutto. A tutti. Ovunque, sempre, a voce alta. Si parla al telefono come su un palcoscenico, convinti, o piuttosto compiaciuti, che il bar o il ristorante stia prendendo appunti o formandosi un pensiero su di noi. Siamo messi in ascolto dei loro dialoghi in viva voce, come fosse una performance ossessiva, la spasmodica necessità di essere visti e ascoltati senza via di scampo, Pare che per il Censis la quasi totalità degli italiani è connessa quotidianamente e quasi il 90% usa lo smartphone come principale strumento d’accesso al mondo. Un’indagine condotta da Doxa-Telefono Azzurro dice che gran parte dei ragazzi tra 12 e 18 anni prova molta o moltissima ansia quando è lontano dallo smartphone. Poi l’abitudine prende il sopravvento, e si parla ad alta voce nei locali pubblici anche tra cliente e cameriere, tra cliente e cliente, tra cameriere e barman. E noi, che davanti a una pietanza o a un caffè volevamo ascoltare i nostri stessi pensieri, o leggere un libro, o scambiare un’opinione con un amico, o semplicemente rispondere alla chiamata di una persona cara o di un collega, per impedire che quelle voci irrompano nel microfono sovrastino la nostra al telefono, siamo costretti al tasto “scusa, richiamo il prima possibile”, che altrimenti gli si riversano contro litigi familiari, diagnosi mediche, strategie aziendali, tradimenti, maldicenze, barzellette sconce, tagli di capelli, progetti per le vacanze, pettegolezzi, vanterie, e via dicendo, dicendo, dicendo…
Alzando il volume della voce si pensa di alzare lo spessore delle proprie affermazioni verbali, della propria affermazione in pubblico. Eppure, le cose più piacevoli della vita sono sempre dette a bassa voce, quasi sussurrando qualcuno vi ha detto “ti amo”, un figlio ti ha chiamato “mamma” o “papà”, hai scoperto di avere una nuova amicizia perché quasi all’orecchio lui o lei ti ha confidato in segreto, un suo difetto o un tuo pregio. La pacata gentilezza si riconosce dalla premura di una voce che tramette parole con le quali comporre un concetto, una informazione, una cortesia. Non è il volume del suono, è il contenuto che trasmette. Un tempo era frequente sentire gli anziani alzare la voce al telefono se riconoscevano un parente che chiamava da lontano, come dovessero farsi sentire senza la mediazione tecnica dell’apparecchio telefonico. A quei tempi, il telefono era una roba di bachelite, spesso appesa a una parete. Oggi che ormai il telefono quasi lo indossiamo, urlano tutti, anche quando non sono al cellulare, basta si trovino in un locale pubblico.

