A colloquio con il presidente Roberto Domizi, presidente e il segretrio Giuseppe Antonacci, per capire le prospettive degli usi civici di Sacrofano
di Simone Bianchini e Marco Ferri
Il casale, sede dell’Università Agraria di Sacrofano in via Monte del Casale 19, è stato appena ristrutturato, grazie ai fondi del PNNR, si vedono ancora le impalcature, smontate ma non ancora rimosse del cantiere.
“Abbiamo avuto accesso ai fondi, ma la cifra è stata anticipata dalla banca, che avrà le somme, comprese gli interessi”, dice Domizi, con la tipica lucida rassegnazione di chi sa che gestire un’organizzazione, che certo non naviga nell’oro, non è la cosa più facile del mondo. Eppure, i 112 iscritti all’associazione sembrano ostinarsi a portare avanti gli sforzi per la migliore gestione possibile del patrimonio naturale che i terreni affidati all’Università rappresentano. Oggi le Università agrarie non sono più enti di diritto pubblico, lo sono state fino al 2017, quando cambiò la normativa. Le università furono istituite nel 1894, con regio decreto. I piemontesi, dopo la presa di Porta Pia nel 1870, che perfezionò l’unità d’Italia, fecero di Roma la capitale nel 1871, trasferendovi il governo e i ministeri, mentre Vittorio Emanuele II si insediò al Quirinale. Come è noto, Roma era stata la capitale dello Stato Pontificio, che comprendeva il Lazio, l’Umbria, le Marche e la Romagna, la parte orientale dell’attuale regione Emilia-Romagna, appunto. Proprio nell’Italia centrale con il regio decreto, furono espropriati i latifondi alla cosiddetta nobiltà nera, e conferiti ai Comuni. Per quanto riguarda Sacrofano, i terreni in possesso degli Orsini, dei Chigi e degli Odescalchi vennero a tutti gli effetti conferiti agli usi civici nel 1910, con l’istituzione delle Università Agrarie. Non è un caso che le università agrarie siano state istituite proprio nel Centro Italia, e proprio con i latifondi. Nelle altre regioni questo fenomeno non si è storicamente verificato. Per quello che riguarda specificamente l’agraria di Sacrofano, parliamo di 350 ettari di terreni agricoli, di cui 180 di bosco, più 150 ettari situati nel territorio del XV Municipio di Roma.
Complessivamente, il territorio del Comune di Sacrofano è composto da 800 ettari, le cui competenze sono divise tra l’Università Agraria, l’Università dei Possidenti di Bestiame (vedi il n. 5 del 2025 di La Nuova Sacrofano, pag. 2) e il Comune di Sacrofano, al quale, tra l’altro, è rimasta la competenza dei terreni di Monte Musino, che poi è stato aperto al pubblico, trasformato in un percorso attrezzato per il trekking e biking, collegato agli impianti sportivi di Monte Sarapollo. Il dato positivo è che questa importante quantità di verde affidata alle Università fa di Sacrofano un luogo in cui vivere è decisamente salutare per chi ci abita, ci vive e lavora, un polmone che attira residenti in cerca di pace, lontano dall’inquinamento acustico e dell’aria, tipico di una grande metropoli, come Roma, la più grande e popolosa d’Italia. Da non sottovalutare, che le università agrarie sono state un freno molto deciso alla lottizzazione selvaggia, la madre di tutte le speculazioni edilizie. Anche perché i terreni di competenza sono inalienabili, non possono essere ceduti a nessun titolo, possono entrare nella successione, ma senza perdere la fondamentale caratteristica dell’inalienabilità. Va, oltretutto, tenuto presente che tutti i terreni sono sotto la tutela del Parco di Veio, la cui sede, tra l’altro, è proprio a Sacrofano.
Il bilancio annuo dell’Università Agraria di Sacrofano si aggira interno a 100 mila euro. Ma, sostengono sia Domizi che Antonacci, le cose da fare sono davvero tante e riuscire ad accedere a finanziamenti pubblici è sempre più di vitale importanza. I naturali interlocutori sono la Regione Lazio, la Città Metropolitana di Roma e, ovviamente, il Comune di Sacrofano.
Ma ci sono delle ambizioni più pressanti della semplice, ancorché sacrosanta, buona gestione del patrimonio naturale. Esse riguardano la possibilità di mettere a valore i terreni, promuovendo esperienze imprenditoriali legate alla coltivazione di prodotti di alta qualità, per esempio il reimpianto della vite da uva per produrre vino autoctono, o la gestione degli uliveti abbandonati per produrre olio extravergine di oliva Dop. Recentemente, raccontano Domizi e Antonacci, hanno sperimentato la coltivazione di malto per produrre birra artigianale. “Non è andata benissimo”, dicono con quel tipico esempio linguistico di costruzione perfettiva negativa con attenuazione pragmatica, che lascia intendere che ci riproveranno.
Cosa che è merita i migliori auguri di buon successo alla prossima produzione della Birra del Casale.
Da parte nostra, infatti, siamo convinti e lo abbiamo spesso sostenuto sulle pagine di questo giornale della necessità che Sacrofano si leghi a un prodotti enogastronomici tipici, autoctoni, che porterebbe non solo buona qualità sulle tavole, ma accrescerebbe la buona reputazione del territorio, con tutti i vantaggi che facilmente potrebbero venire in mente. Il che è un altro modo per dire che ci ripromettiamo di incontrare ancora Domizi e Antonacci e approfondire l’aspetto del rapporto tra potenzialità e opportunità, magari legati all’impegno delle giovani generazioni, che potrebbero fare dell’immenso patrimonio naturale gestito dall’Università agraria un’esperienza imprenditoriale molto ricca e significativa. È il momento della semina di un nuovo futuro.


