Che cosa ci dicono le mura del centro storico di Sacrofano
di Alessia Felici
Quando i documenti d’archivio sono difficili da trovare, o perché sono andati perduti o perché vanno cercati altrove, o addirittura non esistono, sono “le cose che restano” a raccontare di sé, ma bisogna saperle “ascoltare”, vanno osservate bene. Ci stanno davanti agli occhi per secoli ma non hanno voce, eppure sono come un libro aperto. Rientrano in questa condizione le mura dei centri storici, come quelle di Sacrofano. Le avete viste bene? Hanno decine e decine di portali e finestre “tamponate”, chiuse, interrotte, con tratti murari sovrammessi per un abitato che andava a cercare spazio in altezza. Guardate il taglio delle loro pietre, il materiale da costruzione, la quantità di malta impiegata nei giunti, la loro grandezza e potrete ripercorrere una parte di storia.

I “tufelli” di Sacrofano è ciò che resta dei paramenti murari di X-XI secolo e poi ancora fino al XIV secolo. È quella che viene definita anche “opera saracinesca”. È sempre e chiaramente riconoscibile: taglio piccolo del tufo, alti circa 6 cm, ben squadrati e impilati su un letto di malta molto spesso di 2-3 cm, triangolari in pianta e cuneiformi in sezione, per meglio “ammorzarli” nella malta. Il tufo è una pietra povera. La si ricava dalle cave locali, va solo tagliata. Un modo economico, pratico e veloce di costruire a seguito delle distruzioni, come furono le incursioni saracene, o dopo i terremoti, ecco il motivo del taglio piccolo, facile da ottenere e da sistemare nell’apparato murario, ma necessita di tanta malta. Se andate a via di Vecchio Castello avrete un meraviglioso esempio di ciò che resta del Castrum di Scrofano, una torre speronata a tufelli piccoli e regolari, mozzata sulla sommità e umiliata da una selva di parabole, antenne e condizionatori…la stessa torre che potrete vedere nel dipinto di Sant’Emidio, nella Chiesa di San Giovanni Battista, in quell’immagine del centro storico immortalata dal pittore sulla mano del Santo.

